IsoleBianche

DAHLAK – Le isole dimenticate

Da qualche parte avevo letto che le Isole Dahlak ti entrano a poco a poco, lentamente. Vanno vissute e comprese soggiornandovi a lungo. Non hanno nulla di appariscente, nulla a che vedere con le isole esotiche del nostro comune immaginario, quelle con le palme e rigogliose di vegetazione. Quelle da Robinson Crusoe o quelle stereotipate dei lussuosi villaggi turistici. Nulla di tutto questo.

Una barca di pescatori all’approdo sulla spiaggia di Dur Gaam

Le Dahlak sono lingue di sabbia, croste madreporiche che appena emergono a pelo dell’acqua, con una minima vegetazione nelle più grandi, per lo più mangrovie ed euforbie.

Coralli fossilizzati in roccia. Le isole sono per lo più di natura madreporica. Sullo sfondo un’euforbia spinosa a Dirgirit

Un arcipelago di centinaia e centinaia di isole desertiche, abitate da pescatori solo in minima parte, non più di una manciata; per la maggior parte remote, difficili da raggiungere le più lontane dalla costa . Se poi si aggiunge il tempo inclemente che abbiamo incontrato, tutto indurrebbe a dimenticarle. Ma ciò non è.

Nubi minacciose incombono su Dur Gaam

Così appena visibili all’approssimarsi appartengono, piuttosto, al tempo sospeso, ad una dimensione onirica più che reale. E così che continuo ad immaginarle; è così che mi si sono fissate nella mente e nel cuore dopo un breve soggiorno alle più accessibili Dur Gaam, Dur Ghella, Dirgirit.

Nuvole di uccelli che si librano in volo tra gabbianelle, sule, cormorani, rondini, ibis, pellicani, rondini, pivieri, sterne e i piccoli fratini mentre qualche solitario Falco Pescatore volteggia a caccia per poi posarsi su fronde di mangrovie. Capita di sorprendere il profilo esile di un Airone Golia allungare il collo a ispezionare l’orizzonte, vigile e solitario su di uno scoglio come un faro.

Airone Golia
Falco Pescatore nel nido
Sula

Per il resto c’è soltanto il vento e il mare, ovunque, il disegno delle nubi che si compongono e si scompongono in improvvisi piovaschi, il colore dell’acqua che muta tra verde cupo, verde smeraldo e blu intenso, trasparendo i fondali sabbiosi in tonalità più luminose e chiare.

E poi c’è il sotto, la magia incantevole della barriera corallina che qui si dispiega a blocchi di madrepore, e praterie di alghe che fluttuano in esili filamenti alle correnti, sicuro rifugio per i pesci più fragili. Capita sovente che i delfini si avvicinino alla barca o mentre nuoti, curiosi e giocosi. E ti sorprende la quantità di pesci che transitano a branchi innumerevoli, tutti i tipici del Mar Rosso che qui s’addensano più numerosi per via del plancton così ricco.

Ed è proprio il plancton a regalarci l’emozione della bioluminescenza tra la risacca e la battigia, appiccicandosi ai piedi nudi in una miriade di minuscole stelle iridescenti, quelle che, purtroppo, ci mancano nel cielo coperto.

Che si può dire ancora di queste isole, dunque?

Che c’è il nulla e il tutto; e che, perciò, ti senti così libero da volerci tornare.

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