due giorni nei luoghi di Tonino Guerra
“L’Infanzia del Mondo” è un luogo ben preciso: la confluenza di due torrentelli, il Messa e il Canaiolo, a formare una pozza d’acqua fresca in una stretta valle delle Romagna, nei pressi di Pennabilli. Apparentemente un piccolo luogo come tanti, senza rilievi e caratteri significativi. Eppure, è un luogo della mente e, soprattutto, dell’anima. Proprio qui Tonino Guerra, già in là con gli anni, durante il buen retiro di Pennabilli, la sua ultima dimora d’elezione, ne subì il fascino del genius loci e così volle chiamarlo. Un luogo di energie, dunque, che fluiscono nei profumi dell’aria, nel gorgoglio sottile delle acque, nella consistenza malleabile delle pietre, nel fruscio di fronde, nel canto degli uccelli e in qualcosa che va oltre per chi sa ascoltarlo, vederlo, assimilarlo col cuore. Qualcosa che appartiene alla memoria del tempo a unire sensibilità, culture, credenze e fedi oltre i limiti dello spazio fisico e geografico.
È proprio qui, infatti, in questo luogo così appartato, così intimo che monaci buddhisti ogni anno celebrano la magia di un rito straordinario nella propria semplicità, la puja della dispersione delle polveri del mandala, un rito che ci ricorda l’impermanenza dell’essere e, nello stesso tempo, la fermezza del credo nella trascendenza.
E viene spontaneo chiedersi, allora, perché proprio questo piccolo luogo unisca mondi così lontani, Pennabilli e il Tibet; la risposta riposa nel tempo remoto, all’epoca in cui un frate cappuccino, tale Orazio della Penna, rampollo dei nobili Olivieri, nel 1707 fu inviato a Lhasa in missione evangelica, con il compito di convertire quelle genti. Eppure, la sua non fu una missione di proselitismo, di conquista delle anime infedeli, piuttosto divenne un’esplorazione vera, l’incontro di culture e fedi diverse grazie alla saggezza nel suo proporsi, lui forestiero, un alieno quasi, spoglio di ogni arroganza e pretesa di portare e imporre la propria verità assoluta.
L’uomo Orazio prevalse, quindi, sul frate catechizzatore e se la missione cattolica fallì in quanto tale, l’opera sua venne così apprezzata dal popolo e dal clero tibetano che ne conservarono la memoria anche dopo la sua morte. Dai tibetani era appellato “il Lama dalla testa bianca” e le conoscenze che acquisì nel lungo soggiorno gli consentirono non solo di comporre un dizionario tibetano – italiano di 32.000 parole, ma di tradurre dal tibetano alcuni importanti testi sacri.
In una sorta di parabola del tempo, ecco che qui si conclude la missione di Orazio dopo secoli di oblio, quando il Dalai Lama in persona ne venne a onorare la memoria nel 1994 e nel 2005 benedicendo con la sua presenza il calco della piccola campana della missione cattolica fondata dal frate e tuttora conservata nel sacro tempio del Jokhang a Lahsa.
Oggi, sul Roccione quella campana è tornata a suonare e un piccolo chorten s’erge sul Pianetto a testimoniare quanto sia vicino il Tibet, perché è proprio nella fraternità e nell’onestà dell’incontro tra gli uomini che le distanze si annullano in un’unica comunione d’intenti.